Pubblicato su politicadomani Num 90 - Aprile 2009

Primo marzo a Crotone
Il desiderio antico della Calabria

di Luciano Gagliardi

Riflessioni di un Vibonese sul lungo viaggio che lo ha portato a Crotone per partecipare alla manifestazione organizzata dal Goel

È lungo il viaggio da Reggio Calabria a Crotone: quattro ore di macchina per percorrere poco più di 200 chilometri. Dicono che Cristo, che veniva dal Sud visto che viveva in Palestina, si sia fermato ad Eboli (SA). Sicuramente non ha preso la Salerno-Reggio Calabria, perché in tal caso si sarebbe fermato al massimo nei pressi di Palmi.
Sono arrivato a Crotone un giorno prima perché, oltre al timore di non arrivare in tempo per la manifestazione, volevo partecipare alla veglia di preghiera.
La cattedrale era piena e molti erano in piedi nonostante avessero portato altre sedie. Il Vescovo sembrava sorpreso di vedere così tanta gente in chiesa a quell'ora di notte. Nessuno sbadigliava. Si capiva che chi si trovava lì portava con la speranza e la fiducia anche il battito del proprio cuore. E proprio lì, durante la veglia, mentre tutti quei cuori battevano insieme ho capito che quella impercettibile nota continua era il suono della Speranza.
Quando padre Alex Zanotelli, invitato dal Vescovo che lo aveva individuato tra la folla dei fedeli, ha parlato all'assemblea, ho sentito che molti altri cuori battevano con i nostri: credo che fossero quelli dei fratelli e delle sorelle dell'Africa, di Napoli e degli altri Sud del Mondo.
Io, che vivo a Vibo Valentia, una piccola cittadina disperata della Babilonia calabrese, ho pensato che il nostro sangue scorreva insieme a quello della moltitudine dei crocifissi di tutto il mondo. Un unico coro di voci, una sola richiesta di Giustizia, una sola risposta troppo grande e complessa per essere ingabbiata in qualche parola: perché è una risposta semplice e immensa che nessuno può esprimere compiutamente.
L'indomani un fiume ha riempito le strade di Crotone: migliaia di persone hanno camminato insieme fino in piazza della Resistenza, consapevoli che quell'unica risposta si svela quando si fa spazio alla compassione ed alla fratellanza.
In molti si sono avvicendati sul palco e hanno cercato di dare forma con delle parole a quella risposta che la gente cercava. Nonviolenza e legalità sono le due parole pronunciate più spesso quella mattina, quelle che si vorrebbe vedere vive e operanti in Calabria.
Come cristiano accetto senza riserve la prima: il mio Signore è nonviolento.
Ho invece delle riserve sulla seconda.
In Calabria la legalità non esiste. Tutti i calabresi lo sanno e lo vivono sulla propria pelle. Qui le leggi dello Stato sono un optional; a volte sono usate per intralciare chi vuole fare qualcosa di giusto, e questo nonostante la buona volontà dei molti il cui lavoro consiste nel far rispettare la legge. Come ogni calabrese onesto io voglio rispettare la legge; eppure, ogni volta che sentivo la parola "legalità" usata come bandiera, tornavo con la mente alla sera prima e il ricordo mi pungeva dentro. Ho sentito il bisogno di capire e di dare risposta a tanti perché.
Perché, in nome della legge, si mettono fratelli e sorelle nei "centri di permanenza temporanea", non-luoghi peggiori delle galere, con meno diritti dei carcerati? Il loro delitto è essere poveri e avere osato oltrepassare una frontiera. Eppure la povertà in Italia non è ancora reato.
Perché la legge permette ancora che un italiano, dietro il parere di un medico, spesso incompetente o corrotto, e con il visto di un sindaco che non lo ha mai visto neanche in faccia, vada a finire in un ospedale psichiatrico, privato della dignità e di ogni diritto, compreso quello di rifiutare una terapia dannosa (terapie che, in caso di rifiuto, sono date anche con la forza), e sia psichicamente ridotto a una lattuga marcia, brutto perfino a vedersi, con la bava che cola dal labbro?
Perché legalmente si comprano e si vendono armi terribili e, sempre legalmente, in tutto il mondo si ruba ai poveri per dare ai ricchi?
Perché la legge permette che le multinazionali si approprino dell'acqua, che serve per vivere, e la appestino insieme all'aria e alla terra, e provochino malattie e tumori bruciando i rifiuti che ci inducono a produrre?
Il primo marzo, a Crotone, sono stato anch'io Speranza, e ascoltando e parlando con centinaia d'uomini e donne, tra le migliaia venute da ogni parte del Sud e del Nord d'Italia, ho capito che il volto pulito della Calabria che non spara desidera agire contro questa "legalità".
La legalità che vuole questa Calabria è antica, perché ha percorso i binari della Storia. È una forza che spinge alla diaspora interi popoli, compreso quello calabrese, alla ricerca di qualcosa che non si esaurisce nel solo benessere dato dai soldi. È un sogno. Il sogno ancora da realizzare che è stato pensato da un'Italia appena uscita dalla guerra, stanca di odio, di bombe, di morti ammazzati, così come stanchi siamo oggi noi calabresi.
È la legalità delle istanze che trovano voce nella Costituzione Italiana, quel patto di popolo senza il rispetto del quale ogni legge o azione dello Stato non vale, ed è un'offesa alla nostra storia ed alla nostra dignità. Cominciando da quel primo articolo della Costituzione che è un inno al lavoro e alla dignità della persona, per cui solo il ritorno alla piena occupazione garantisce il diritto di tutti, anche dei non-italiani, ad una vita senza la paura di non potercela fare per sé e per la propria famiglia.
Legalità e nonviolenza per non essere più responsabili delle sofferenze, della fame e della morte di altri esseri umani, non importa che siano vicini o lontani, mafiosi o massoni, leghisti o nomadi, santi o assassini, palestinesi o ebrei o afgani o statunitensi.
Allora sì, legalità e nonviolenza profumeranno di Giustizia ed avranno valore.

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